I software di Robotic process automation, integrati con l’A.I., consentono di automatizzare sempre più operazioni e sono destinati a diffondersi in ogni settore. Ma le pmi italiane rischiano di rimanere indietro per la mancanza di un’adeguata cultura tecnologica.
Sul nuovo numero di Business People, dove un rigorosa e competente Anna Tortora parla di intelligenza artificiale e RPA, intervista a Domenico Navarra (CEO di Studioboost).
Ma è davvero così semplice? Ne abbiamo parlato con Domenico Navarra, Ceo di Studio Boost, che sviluppa sistemi automatizzati per la gestione aziendale, e di recente confluita in Dylog Italia.
E’ veramente così, non si può prescindere dalle RPA nel mondo del lavoro?
Quando ho iniziato io, nel 1998, di AI si cominciava a parlare. i progetti di automazione costavano cifre a sei zeri e in effetti i clienti che avevo allora si chiamavano Eni, Finmeccanica, L’Oreàl, la Fiat, tutte società che per vari motivi avevano bisogno di automatizzare determinate attività. Oggi le cose sono diverse perché con il cloud che ha tolto di mezzo la necessità di pesanti e costose infrastrutture, ed è diventato tutto più abbordabile. Non è nemmeno piu richiesta l’audacia di investire in progetti custom, ci sono i boxset già impostati per i singoli problemi, che si adattano alle varie esigenze: acquisti, contabilità, fornitori, e via dicendo. Eppure i clienti restano gli stessi, cioè aziende dal taglio molto importante in termini di fatturato come di numero di dipendenti, perché non si è formata una nuova cultura del lavoro. Il successo dell’Rpa non è ancora sbocciato, anche se ci sono le condizioni. La mancanza di cultura blocca di fatto l’adozione di determinate procedure.
Cultura o fiducia? La trasparenza non sempre è garantita e i controlli a monte non sempre vengono percepiti come legittimi
In realtà le due cose vanno di pari passo, la mancanza di conoscenza può generare una mancanza di fiducia. A gennaio 2021 abbiamo rilasciato un sistema gestionale che grazie a logiche di intelligenza artificiale e RPA è in grado di leggere l’estratto conto e riconciliare in automatico incassi e pagamenti delle fatture elettroniche. È qualcosa che tutti devono affrontare e che costa molta fatica. Ovviamente per connettere il conto corrente bancario abbiamo utilizzato le tecnologie a disposizione, ci siamo appoggiati a provider AISP che sono soggetti all’approvazione delle banche nazionali, il nostro è autorizzato da Bundesbank. Ebbene, rispetto ai nostri 25-30mila utenti, il numero di quelli che si sono appoggiati al nuovo sistema è risibile, nell’ordine del 5%. I clienti non sanno cosa sia un server AISP e non si rendono nemmeno conto che quando inseriscono le credenziali per accedere al conto bancario sono nella pagina della loro banca, non nella nostra pagina. Il problema culturale c’è e va superato. È qualcosa che dovrebbe partire dalle scuole e richiede una strategia precisa, in termini informatici, amministrativi e imprenditoriali che nella maggior parte dei casi non c’è.
Lo diceva già l’Ocse nel 2006. L’imprenditore medio europeo, non solo italiano, è un supertecnico che conosce perfettamente il proprio prodotto dal punto di vista del mercato, ma è carente dal punto di vista amministrativo, finanziario e gestionale.
C’entra la struttura famigliare dell’imprenditoria italiana?
Uno studio del Prof. Zingales di qualche anno fa si interrogava sulla ragione per cui a un certo punto l’Italia ha smesso di crescere. Non ci sono evidenze sul fatto che l’imprenditoria italiana abbia avuto carenze sul piano strutturale. Solo che a partire dalla metà degli anni Novanta si è cominciato a disinvestire totalmente sotto l’aspetto tecnologico. Questo e la riduzione a commodity di tutto quello che è informatica e tecnologia avanzata ha portato le aziende italiane ad essere meno competitive, a crescere meno delle altre, e quindi a delocalizzare per abbattere i costi. Ma le tecnologie Rpa esistono, sono pronte per essere adottate su larga scala e fare molte delle attività dei colletti bianchi.
Questo è un fattore che frena lo sviluppo?
Non è certo una novità, una ricerca di Price Waterhouse & Coopers di un paio di anni fa prevedea il 43% dei posti a rischio. Certo, era prima del Covid, ma è solo una questione di tempo. Finora ad essere colpiti sono stati le tutte blu. Ma nel prossimo futuro saranno gli impiegati ad essere sostituiti dall’automazione. Il panorama che il World Economic Forum ha delineato per i prossimi 30 anni prevede cose che in realtà si sono già realizzate, gli storage gratuiti per tutti, internet nel piu piccolo villaggio africano, la rivouzione della blockchain nei pagamenti, nella riscossione dei tributi che a Dubai già fanno da 3 anni, nelle elezioni… Il mondo va in quella direzione. Si tratta di pianificare un futuro prevedibile, capire che acquisendo certe competenze quando arriveranno i momenti bui che operano una selezione di fatto tra le aziende, si è già skillati per inserirsi nella economia automatizzata.
Gli unici lavori che avranno un futuro hanno a che fare con l’informatica?
Tutte le posizioni aperte di Amazon che non siano magazziniere o corriere richiedono un test di coding. Non certo per programmare, ma deve avere le skill logiche per capire le sequenze in cui avvengono determinati processi. Addirittura si parla di intelligenze artificiali dirigenti, che possono partecipare ai consigli di amministrazione e i test che sono stati fatti dimostrano che in certe situazioni l’AI, ragionando su dati concreti, numeri, riesce a prendere decisioni molto più efficaci.
Già si parla di intelligenza predittiva, affideremo anche le strategie ai robot?
Da imprenditore dubito che un’intelligenza artificiale possa implementare una strategia, ma una volta implementata, l’Intelligenza artificiale può correggere eventuali imprecisioni. Comunque stiamo parlando di lanciare razzi quando ancora andiamo in bicicletta. Nel 2019 Facebook e Microsoft stanziarono diversi milioni di euro per la formazione in tre paesi europei perché non riuscivano a vedere più niente delle loro nuove tecnologie, cloud etc. Hanno capito che la formazione era fondamentale. Erano Polonia, Portogallo e Italia. Se questi sono i 3 paesi che hanno bisogno di formazione perché i prodotti non si capiscono, il problema è reale.
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