Come i molti che si apprestano ad avviare una nuova impresa, qualche tempo fa, anche noi abbiamo dovuto fare i conti con la redazione di un business plan.
Fu in quella occasione che elaborammo una serie di dati mettendo assieme i dati pubblici aggiornati a cura del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, dell’Istituto ARISTEIA e dell’Osservatorio ICT e Professioni Politecnico di Milano. I dati a disposizione degli organi ufficiali, erano quelli degli studi effettuati nel 2013 a consuntivo dell’anno 2012, i dati a cura degli istituti di ricerca erano riferiti al 2013. Ci focalizzammo i sul mercato numericamente più importante: quello dei Dottori Commercialisti giungendo a conclusioni a volte disarmanti che desideriamo condividere con i follower del nostro blog.
L’analisi è partita dalla numerosità degli studi professionali per arrivare a delineare la tipologia e la numerosità del mercato potenziale della nostra iniziativa. Gli iscritti all’albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili sono di poco superiori a 114.000 unità
Nei fatti, abbiamo un Commercialista ogni 521 abitanti in una situazione in cui la rappresentanza femminile cresce e l’età media sale. Il che, nonostante i 7,5 Miliardi di Euro di PIL generato dal settore, ci porta a pensare che la propensione da parte dei neo-laureati a scegliere la strada della Libera Professione sia in calo.
Tuttavia, le statistiche reddituali aggregate confermano la Libera Professione come una delle attività che mantiene sostanzialmente invariata la propria redditività.
In merito al come i Professionisti erogano i propri servizi abbiamo notato come gli studi associati rappresentino ancora la minoranza rispetto allo studio individuale e come il numero degli associati sia mediamente esiguo.
Relazionando questo dato con un indice geografico, si verifica che la propensione all’associazione professionale è molto più marcata nel nord Italia.
Struttura organizzativa nelle associazioni tra professionisti
Andando nel dettaglio e verificando la struttura organizzativa degli studi professionali associati si nota che lo studio medio è composto da sole 8 persone.
Il numero degli studi con una struttura organizzativa complessa e composti da oltre 10 persone è numericamente poco significativo ma il fatturato generato incide in maniera decisiva sul totale del fatturato di settore.
Se si tenta poi di analizzare l’attitudine di questi studi al controllo di gestione è possibile solo risalire, dalle risposte ai vari questionari (v. studio Osservatorio POLIMI), a ricavare esclusivamente se lo studio rileva o no il tempo impiegato per le attività in favore del cliente.
Se verifichiamo come è composto il fatturato dello studio medio, è facile capire la ragione della scarsa attitudine al controllo di gestione: la maggior parte degli studi “vive” letteralmente e quasi esclusivamente di attività ordinaria. Si attività di contabilità ed assistenza fiscale tipica, pesantemente time consuming ed a scarsissima redditività. Nell’errata convinzione che queste attività non si possano rendere più efficienti e redditive non si effettua alcun controllo di gestione.
Tuttavia, nonostante questo, moltissime PMI italiane nel 2013 avrebbero invidiato il fatturato medio di uno studio professionale.
Parlando di fatturato, la vera differenza la fa, però, la “copertura” rispetto al cliente: uno studio in grado di offrire assistenza in più ambiti (legale, societario, tributario, consulenza del lavoro, pianificazione finanziaria, ecc.) attrae molti più clienti e genera molto più fatturato. Il doppio rispetto ad uno studio medio.
Conclusioni
La situazione degli studi professionali italiani ha sicuramente luci ed ombre.
Il fatto, ad esempio, che la capacità reddituale dei professionisti si sia mantenuta pressochè invariata anche in un periodo di crisi è ascrivibile tra gli aspetti positivi dell’intero movimento nazionale. La crescita della rappresentanza femminile tra i Commercialisti è un altro degli aspetti positivi dell’evoluzione della professione.
Tuttavia molti sono gli aspetti negativi che, proiettati nei prossimi 3-5 anni potrebbero creare seri problemi alla categoria.
Parliamo in particolare della debolissima struttura organizzativa degli studi (ricordiamo che solo il 7,8% degli studi ha una struttura organizzativa significativa) e della fortissima dipendenza dello studio dal solo prodotto “consulenza ordinaria”. Prodotto a scarsissima redditività, che non differenzia lo studio rispetto ai competitors e che viene inteso dalla clientela come una commodity, per non dire un obbligo, un fastidio, da remunerare il meno possibile.
In questa situazione, la scarsissima attitudine al controllo di gestione interno rischia di mettere in difficoltà tutta la fascia media e medio alta degli studi professionali la cui frammentazione in termini di competenze non è certamente di aiuto.
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