Attorno al tema degli Studi Professionali, della loro organizzazione, dell’utilizzo che fanno della tecnologia e dalla loro capacità di innovare si discute ancora animatamente in vari consessi, senza però mai toccare il vero nervo scoperto dell’intero settore professionale italiano: una poverissima cultura informatica ed una scarsissima conoscenza delle metodologie di organizzazione, gestione e controllo dello studio.
Ad una largamente diffusa cultura “aziendalista” con la quale il professionista eroga la propria competenza alla clientela, fa raramente da contraltare la medesima attitudine a programmare, monitorare ed organizzare il proprio studio.
Le ragioni della situazione contingente sono molteplici ma uno dei principali colpevoli è il mercato, ovvero le aziende che per decenni si sono spartite il mercato dei professionisti a colpi di canvass e campagne pubblicitarie ma senza mai investire realmente in innovazione. Ancora oggi molti dei software multi-azienda per la contabilità, gli aspetti fiscali e l’elaborazione paghe offerti ai professionisti sono veri e propri dinosauri, sviluppati con linguaggi antiquati e basati su tecnologie in voga alla fine degli anni ’80.
Mentre negli anni ’90 l’arrivo della cultura degli ERP ha portato nelle aziende italiane la cultura del “processo” ed ha consentito a molte di queste di crescere in maniera sostenibile e prosperare, nulla di paragonabile è accaduto nel mondo delle professioni.
Tenendo così bassa l’asticella, nessuno era autorizzato a pensare che l’intero mondo professionale fosse in grado di auto-evolvere. Al contrario, un professionista con volontà evolutive si vede letteralmente frenato dall’assenza di offerta di prodotti innovativi in grado di risolvere, ad esempio, le problematiche del controllo di gestione.
Ed ecco che non può sorprendere che, mentre le aziende allungano oltre ogni immaginabile limite la vita media del proprio parco hardware grazie a tecnologie che sono diventate vere e proprie commodities quali la virtualizzazione, lo studio professionale medio dichiara nell’oltre 50% dei casi di avere bisogno di hardware più performante per “innovare” le proprie attività (vedi ricerca Osservatorio ICT e Professionisti – Politecnico di Milano). Un evidente contro senso: mentre anche le più retrograde PA attivano servizi web, i professionisti chiedono hardware più performante.
Se a questo scenario si aggiungono la redditività degli studi mono-disciplinari in picchiata, la lievitazione dei costi per la gestione dei cosiddetti “servizi di consulenza ordinaria”, la tendenza da parte del cliente a richiedere assistenza che vada oltre il ruolo del professionista tipico, è semplice capire che è a rischio l’esistenza di un intero settore.
Parlare di redditività di una commessa, di una pratica o di una attività ad uno studio professionale è come dare al professionista una stilettata in una gamba. Provoca dolore, vero dolore fisico.
Il controllo di gestione non è un concetto completamente estraneo ai professionisti (ci mancherebbe!) è l’idea dell’applicazione dei concetti di pianificazione e gestione per progetti all’interno dello studio che è considerata sostanzialmente impossibile.
Come non capirli?
C’è 1 commercialista ogni 500 abitanti, per non parlare della competizione tra gli avvocati! L’idea di mettere a rischio il rapporto con il cliente per implementare una qualsiasi procedura operativa è terrificante. Tuttavia è proprio per questa enorme competizione che i professionisti devono reinventarsi, ristrutturarsi e rifondare il proprio rapporto con il cliente. Nessun professionista oggi riesce ad avere sotto un controllo strutturato le relazioni con i propri clienti e le relazioni tra i propri clienti o tutti gli aspetti che commercialmente possono aprire nuove strade o precluderne altre; pochissimi sono in grado di proporre listini o prezzi capaci di sostenere economicamente i servizi ordinari, ancor meno programmano ed effettuano il controllo della redditività ex-post delle attività. Il controllo ex-ante è una chimera.
Come abbiamo convinto chi ha implementato il processo che suggeriamo? Con questa semplice domanda: bene, non volete cambiare nulla nel rapporto con il cliente ma che ne dite di non cambiare nulla scientemente, ovvero con la contezza che determinate attività sono vendute sottocosto nella convinzione (il più delle volte sbagliata) che altre pratiche da quel cliente porteranno il bilancio del cliente in attivo?
Chi ha accettato la sfida, in un anno ha rivisto le condizioni economiche praticate a tutti i clienti, ha efficentato il personale ed implementato meccanismi premianti e di controllo dei collaboratori.
Contattateci per accettare la sfida dell’innovazione.1